Silvio e Giulio al duello finale La frattura tra Berlusconi e Tremonti è di visione strategica, collegata alla linea economica Settegiorni
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Silvio e Giulio al duello finale La frattura tra Berlusconi e Tremonti è di visione strategica, collegata alla linea economica Settegiorni
Silvio e Giulio al duello finale
La frattura tra Berlusconi e Tremonti è di visione strategica, collegata alla linea economica Settegiorni
C' è il capo d'azienda Berlusconi Silvio che si vanta di non aver mai licenziato nemmeno uno dei suoi cinquantamila e passa dipendenti. E c'è il capo di governo Silvio Berlusconi che se potesse avrebbe già licenziato il titolare dell'Economia, ma si lamenta di non poterlo fare, «perché non ho il potere di revoca, dovrei chiedere le dimissioni di tutti i ministri per riuscirci. E figurarsi se in un momento come questo...» .
Non è più una questione di rapporti personali, non è più nemmeno un problema di contesa per la leadership. La frattura tra Berlusconi e Tremonti è di visione strategica, collegata alla linea economica. È come se militassero in coalizioni contrapposte, «perché non esiste - si lamenta il Cavaliere - che in questi anni Giulio sia passato per il capo del partito del rigore e io per il capo del partito della spesa. Io sono il capo del partito della crescita». Perché «a forza solo di tagli», è la sua tesi, si finisce per «ammazzare il Paese».
Di screzi e battute dissacranti tra i due c'è una vasta antologia, pari solo a quella tra il premier e il presidente della Camera. Negli anni, Tremonti ha paragonato Berlusconi a un «nonnetto», e Berlusconi ha visto in Tremonti un «cospiratore». Ora invece c'è solo spazio per elogi e lodi: il titolare di Via XX Settembre sottolinea infatti come «Silvio sia l'unico capace di raccogliere ancora consensi», mentre il Cavaliere vede nel suo ministro «un tecnico con capacità fuori dall'ordinario». Ma è proprio questo reciproco riconoscimento delle doti altrui che fa capire come la storia sia davvero arrivata al capolinea.
Sul resto il disaccordo è totale, e gli interventi sul decreto hanno reso incolmabile la distanza. L'ultima querelle è figlia del diverbio sull'aumento dell'Iva. «L'avessimo fatta subito, saremmo stati tranquilli», impreca sottovoce Berlusconi, che ha visto convalidata la sua tesi dopo la difficile giornata di ieri, segnata dalle critiche di Bruxelles sui contenuti della manovra, e dall'impennata dello spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi. «Con l'Iva - secondo il premier - avremmo dato un segnale chiaro ai mercati e all'Europa», senza peraltro avere problemi con gli altri Paesi dell'area dell'Euro, «visto che la Germania, per esempio, ha un'imposta più alta».
Ed è vero che ieri il ministro dell'Economia si è affannato a spiegare agli uomini della commissione e ad alcune cancellerie la bontà della manovra e la validità dei suoi obiettivi, ma anche in questo caso Berlusconi ritiene che vada smentita «la storiella in base alla quale Giulio conterebbe più di me in Europa. È il contrario». A parte il fatto che all'estero c'è un deficit di credibilità dell'intero sistema politico, non c'è dubbio che l'uomo dei «conti in ordine» qualche colpo ultimamente l'abbia perso. Fino a qualche mese fa Tremonti era in cima alle simpatie del Paese, corteggiato dall'opposizione, indicato come possibile presidente del Consiglio, primo nella classifica dei ministri con un indice di gradimento oltre il 50% che faceva ingelosire il premier. Se in men che non si dica è precipitato di circa venti punti, c'è un motivo. A danneggiarlo nei sondaggi pare sia stato il modo in cui la crisi economica si è di colpo avvitata, costringendo così il governo a intervenire per fronteggiare l'emergenza.
Per questo Tremonti è finito nel mirino della pubblica opinione. Più che per il «caso Milanese», che pende comunque come una spada di Damocle sul capo del ministro e rischia di azzopparlo definitivamente se la Camera accogliesse la richiesta d'arresto per il suo ex consigliere politico. Anche se nel Pdl si chiedono quanto a lungo potrebbe resistere Tremonti a fronte di nuove rivelazioni provenienti dall'inchiesta giudiziaria, non è così che Berlusconi vorrebbe sciogliere il rapporto con il titolare di Via XX Settembre.
Eppoi «non è il momento», prima è necessario che si fermi o quantomeno rallenti l'ottovolante della crisi, prima serve che il governo porti a compimento la manovra. Poi, semmai il Cavaliere fosse ancora in sella, si renderebbe necessario discutere con la Lega un piano che consenta al centrodestra di rilanciarsi in vista delle elezioni. E siccome serviranno quasi certamente altri interventi, ci sarà un nodo da sciogliere: chi gestirà l'economia?
«Non possiamo affidare una nuova manovra a chi finora le ha sbagliate tutte», hanno sussurrato alcuni esponenti di governo all'orecchio del premier. E non c'entrano gli ultimi tagli ai dicasteri che hanno mandato su tutte le furie ministri come Maroni, La Russa e la Gelmini. Il nodo è politico, ed è stato posto pubblicamente dal responsabile del Viminale, secondo cui «l'Economia va spacchettata, perché non possiamo avere due presidenti del Consiglio». Quel messaggio è stato colto da Berlusconi, che - grazie anche ad Alfano - ha riaperto un canale di dialogo con Maroni...
Francesco Verderami
http://www.corriere.it/politica
La frattura tra Berlusconi e Tremonti è di visione strategica, collegata alla linea economica Settegiorni
C' è il capo d'azienda Berlusconi Silvio che si vanta di non aver mai licenziato nemmeno uno dei suoi cinquantamila e passa dipendenti. E c'è il capo di governo Silvio Berlusconi che se potesse avrebbe già licenziato il titolare dell'Economia, ma si lamenta di non poterlo fare, «perché non ho il potere di revoca, dovrei chiedere le dimissioni di tutti i ministri per riuscirci. E figurarsi se in un momento come questo...» .
Non è più una questione di rapporti personali, non è più nemmeno un problema di contesa per la leadership. La frattura tra Berlusconi e Tremonti è di visione strategica, collegata alla linea economica. È come se militassero in coalizioni contrapposte, «perché non esiste - si lamenta il Cavaliere - che in questi anni Giulio sia passato per il capo del partito del rigore e io per il capo del partito della spesa. Io sono il capo del partito della crescita». Perché «a forza solo di tagli», è la sua tesi, si finisce per «ammazzare il Paese».
Di screzi e battute dissacranti tra i due c'è una vasta antologia, pari solo a quella tra il premier e il presidente della Camera. Negli anni, Tremonti ha paragonato Berlusconi a un «nonnetto», e Berlusconi ha visto in Tremonti un «cospiratore». Ora invece c'è solo spazio per elogi e lodi: il titolare di Via XX Settembre sottolinea infatti come «Silvio sia l'unico capace di raccogliere ancora consensi», mentre il Cavaliere vede nel suo ministro «un tecnico con capacità fuori dall'ordinario». Ma è proprio questo reciproco riconoscimento delle doti altrui che fa capire come la storia sia davvero arrivata al capolinea.
Sul resto il disaccordo è totale, e gli interventi sul decreto hanno reso incolmabile la distanza. L'ultima querelle è figlia del diverbio sull'aumento dell'Iva. «L'avessimo fatta subito, saremmo stati tranquilli», impreca sottovoce Berlusconi, che ha visto convalidata la sua tesi dopo la difficile giornata di ieri, segnata dalle critiche di Bruxelles sui contenuti della manovra, e dall'impennata dello spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi. «Con l'Iva - secondo il premier - avremmo dato un segnale chiaro ai mercati e all'Europa», senza peraltro avere problemi con gli altri Paesi dell'area dell'Euro, «visto che la Germania, per esempio, ha un'imposta più alta».
Ed è vero che ieri il ministro dell'Economia si è affannato a spiegare agli uomini della commissione e ad alcune cancellerie la bontà della manovra e la validità dei suoi obiettivi, ma anche in questo caso Berlusconi ritiene che vada smentita «la storiella in base alla quale Giulio conterebbe più di me in Europa. È il contrario». A parte il fatto che all'estero c'è un deficit di credibilità dell'intero sistema politico, non c'è dubbio che l'uomo dei «conti in ordine» qualche colpo ultimamente l'abbia perso. Fino a qualche mese fa Tremonti era in cima alle simpatie del Paese, corteggiato dall'opposizione, indicato come possibile presidente del Consiglio, primo nella classifica dei ministri con un indice di gradimento oltre il 50% che faceva ingelosire il premier. Se in men che non si dica è precipitato di circa venti punti, c'è un motivo. A danneggiarlo nei sondaggi pare sia stato il modo in cui la crisi economica si è di colpo avvitata, costringendo così il governo a intervenire per fronteggiare l'emergenza.
Per questo Tremonti è finito nel mirino della pubblica opinione. Più che per il «caso Milanese», che pende comunque come una spada di Damocle sul capo del ministro e rischia di azzopparlo definitivamente se la Camera accogliesse la richiesta d'arresto per il suo ex consigliere politico. Anche se nel Pdl si chiedono quanto a lungo potrebbe resistere Tremonti a fronte di nuove rivelazioni provenienti dall'inchiesta giudiziaria, non è così che Berlusconi vorrebbe sciogliere il rapporto con il titolare di Via XX Settembre.
Eppoi «non è il momento», prima è necessario che si fermi o quantomeno rallenti l'ottovolante della crisi, prima serve che il governo porti a compimento la manovra. Poi, semmai il Cavaliere fosse ancora in sella, si renderebbe necessario discutere con la Lega un piano che consenta al centrodestra di rilanciarsi in vista delle elezioni. E siccome serviranno quasi certamente altri interventi, ci sarà un nodo da sciogliere: chi gestirà l'economia?
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